Costituzione dell'Associazione "Treviso allo Specchio"
Riguardo al progetto sviluppato due anni fa con il contributo della Regione Veneto e di cui sotto trovate ampia documentazione, vorrei qui aggiungere alcune cose. Parte terminale del percorso, peraltro necessario secondo i termini del bando, è la costituzione di un'organizzazione (sia essa un'associazione, un'impresa, un'circolo o altro). Sto dunque lavorando con altri membri di quel gruppo per definire le caratteristiche, la struttura, le finalità e gli impegni della nostra organizzazione che sarà, molto presumibilmente, un'associazione culturale non legalmente riconosciuta e senza fini di lucro (ONLUS). Vogliamo proseguire, in un certo senso, sulle basi di quiello che è stato il progetto "Treviso allo specchio" 2009, ed approfondire continuamente l'analisi del rapporto tra il globale ed il locale, in un momento - come quello attuale - che, da un lato, non fa che esasperare i contrasti e le tensioni dovute ad un rapporto dialettico macro-microcosmo non certo pacifico nè facilmente addomesticabiel; ma che dall'altro presenta, se accuratamente vagliate, comprese e scelte, delle possibilità impensabili in altri tempi che possono davvero garantire l'accesso a nuovi progetti di vita e di crescita personale e comunitaria.
Non si può dunque operare scelte consapevoli se prima non c'è un'analisi quanto più approfondita ed onesta dello status nel quale ci troviamo a vivere e a convivere. L'associazione che abbiamo in mente vuole contribuire a questa definizione e si pone tra gli obiettivi principali quello di fungere da collante tra varie spinte ideative e le opportunità di impiego delle stesse che la società già fornisce o potrà fornire nel futuro. Il tutto, chiaramente, in un ambito innanzitutto locale.
Questo breve annuncio è anche un richiamo a quanti vogliono saperne di più e desiderano far parte del gruppo e collaborare ala riuscita dei nostri obiettivi e di quelli che insieme riusciremo ad enucleare.
Non si può dunque operare scelte consapevoli se prima non c'è un'analisi quanto più approfondita ed onesta dello status nel quale ci troviamo a vivere e a convivere. L'associazione che abbiamo in mente vuole contribuire a questa definizione e si pone tra gli obiettivi principali quello di fungere da collante tra varie spinte ideative e le opportunità di impiego delle stesse che la società già fornisce o potrà fornire nel futuro. Il tutto, chiaramente, in un ambito innanzitutto locale.
Questo breve annuncio è anche un richiamo a quanti vogliono saperne di più e desiderano far parte del gruppo e collaborare ala riuscita dei nostri obiettivi e di quelli che insieme riusciremo ad enucleare.
Treviso allo Specchio. 12-14 giugno 2009
Identità culturale, luogo e localismi.
Treviso, Loggia dei Cavalieri, 12-13-14 giugno 2009
“Treviso allo Specchio” nasce da una riflessione molto semplice: è possibile parlare di Luogo, inteso come origine, come matrice culturale di una comunità, senza rifarsi al paradigma del “localismo”, con tutte le ambiguità che esso comporta? Da molte ricerche condotte un po’ in tutto il mondo in questi ultimi anni, emerge infatti quanto la nozione di “localismo” sia sempre più intesa come l’altra faccia della medaglia di quel fenomeno planetario universalmente noto come “globalizzazione”. In quanto tale esso soffre delle stesse aporie del suo corrispettivo dialettico, assumendone, di fatto, i tratti in negativo.
Ne segue allora una serie di opposizioni irriducibili o presunte tali, alcune delle quali divenute concetti di moda usati anche a sproposito. Si parla allora di: radicamento vs sradicamento, credendo di suggerire con questo una coppia contraria, quando in realtà già ponendola è andato perduto il senso forte del vocabolo “radice”, da cui vorrebbero discendere i due termini; in entrambi i casi infatti è sottesa la presunzione che si possa mettere radici o toglierle a seconda dei casi e della voglia scordando che la radice contiene il significato di una parola perché ne raccoglie e conserva la storia, dando il senso e la direzione a qualsiasi progetto futuro e non limitandosi a fornire il pur prezioso sostentamento. Esiste quindi un culto della diversità a cui pare corretto opporre l’omologazione, vera insania secondo quanti inneggiano al primo. Ma cos’è propriamente omologare? E’ un’azione che mette d’accordo, che unisce, che rende più oggetti conformi ad una norma esistente. Ciò che esce dalla norma viene rigettato perché fuori norma, e-norme. La norma è una regola di comportamento, un giudizio, un criterio. L’insieme delle norme deriva per la comunità dalla tradizione, per il singolo da chi quella tradizione richiama ed impersonifica: la famiglia. L’educazione è la prima forma di omologazione, è ciò che ci permette di essere inseriti e riconosciuti in una comunità dove vigono norme comuni e dove si parla la medesima lingua che quelle norme codifica: dire una cosa enorme è dire una cosa assurda (ab-surdus, che suona male, fastidioso all’orecchio). Proprio quell’esigenza di territorialità e di tradizione che si fa scudo col vessillo della diversità e che contrasta ad ogni piè sospinto l’omologazione, ha perso di vista cosa accomuna e cosa sostanzia la comunità e per il gusto del contrasto e della negazione rischia di condurre una lotta i cui avversari sono i propri fantasmi.
Il nostro progetto vuole invece recuperare una nozione di Luogo che si distacchi dalla semplice declinazione spaziale che il termine possiede per arricchirsi di quello spettro semantico che lo rende prossimo alla definizione di identità culturale; un’identità che faccia capo alla tradizione di valori, costumi e più in generale di modalità di rapportarsi al proprio territorio di cui sopra si diceva, e che al contempo non si neghi alle istanze, spesso anche problematiche, che la modernità porta con sé.
Posta in questi termini la questione di partenza diventa allora la seguente: è possibile ripensare la Memoria come premessa dotata e portatrice di Senso, e dunque come fondamento di una visione autenticamente originale della Realtà?
Secondo noi sì e la risposta che ci piace suggerire è questa: conoscere come muoverci e cosa dire non è altro che ricordarlo.
Ci è dunque sembrato opportuno tentare di definire un percorso di ricerca (il cui esito ci augureremmo innescasse nuovi approcci alla questione) che in qualche modo potesse fungere da stimolo ad una lettura se non inedita, almeno non riduttiva di quella identità succitata. Identità che in nessun caso può essere intesa come concetto statico, monolitico, ab-solutus, ma piuttosto altamente dinamico, aperto a rimettersi in discussione, atto insomma ad accogliere le sfide che la nostra epoca, volenti o nolenti, ci impone, ora più che mai stante la profondissima crisi che investe così la totalità dei luoghi come ogni singolo luogo.
Da qui, anche in virtù del nostro essere redazione di un periodico, l’esigenza di coinvolgere chi, di professione, si muove nell’ambito della comunicazione e più specificatamente nel campo della scrittura (sia essa poi trasmessa oralmente o per iscritto in articoli, libri, ecc.). Scrittura che recupera la funzione precipua di traccia del passaggio umano e conservazione rammemorante delle tappe che questo passaggio scandiscono.
Le personalità coinvolte infatti appartengono, a diverso titolo, al mondo del giornalismo, dell’editoria, della musica e del teatro. Trait d’union risulta dunque essere la PAROLA, intesa nella sua duplice valenza di traccia/testimonianza di un humus originario (del quale il dialetto non è che uno degli aspetti più immediatamente evidenti) e di oggetto semantico privilegiato attraverso il quale mettersi in relazione con l’Altro, innanzitutto e, in seconda battuta, con il Mondo.
“Treviso allo Specchio” vuole dunque essere un’occasione di DIALOGO che la città fa con se stessa, con la propria comunità e con il mondo che ci circonda.
A fondamento delle nostre intenzioni sta un nucleo di riflessioni che si possono brevemente accennare.
Il territorio trevigiano si identifica spesso con quello accumulativo più che accomunante del Nord-Est. Con simile accostamento si rischia, come spesso, di perdere le significative diversità, che sono poi le variabili portatrici di senso. Se è pur vero che del Nord-Est miracoloso, anche la Marca raccoglie e promuove la vivacità economico-produttiva, l’impegno, l’inventiva, la tradizione, è altrettanto vero che diversi sono i retroscena che tale mise può celare. Convinzione del nostro gruppo di lavoro è che il territorio abbia perduto proprio quella matrice identificativa e sostanziale che lo contraddistingueva tanto che un concetto veniva espresso ed accostato al toponimo: “Marca gioiosa”. A nostro avviso Treviso ha dimenticato questa identità ludica e perciò stesso aperta ed accogliente, amorosa e conviviale. Da questa perdita nascono tutte quelle de-generazioni che fanno sembrare i trevigiani come ostili, chiusi, finanche razzisti. È essenziale recuperare questa dimensione, e con essa un insieme di valori e usi condivisi che nulla hanno a che vedere con le false ed osannate pretese identitarie rispecchiate da acque purificatrici ed origini mitiche. Di luogo vogliamo tornare a parlare per evitare che si cada e si ceda alle lusinghe del localismo, quali la protezione, la sicurezza, l’identità, la tradizione. Valori questi che sono tali perché privati e propri, non perché decisi ed esposti. Valori vissuti non parole ascoltate. Un sentire che fa davvero la differenza.
Ci attendiamo, grazie al coinvolgimento di un vasto spettro di risorse, comprese quelle spesso sottovalutate che possono fornire i giovani, di dare una lettura innanzitutto viva e certo rispondente alla realtà, del rapporto tra cittadinanza e le forme di comunicazione interna, consapevoli che queste ultime siano in linea teorica (e quindi debbano tornare ad essere anche a livello pratico con più vigore) specchio delle esigenze, delle emozioni, delle possibilità e dei valori sentiti e condivisi dai componenti della prima.
In tutto questo, grande ruolo ha la partecipazione di personalità locali, che riescono a coniugare la specificità della Marca, con la forza e la presenza di chi agisce e si fa attore della propria esistenza, attraverso la quale esprime quella di tutti. Il modo più vero di essere autore.
Ne segue allora una serie di opposizioni irriducibili o presunte tali, alcune delle quali divenute concetti di moda usati anche a sproposito. Si parla allora di: radicamento vs sradicamento, credendo di suggerire con questo una coppia contraria, quando in realtà già ponendola è andato perduto il senso forte del vocabolo “radice”, da cui vorrebbero discendere i due termini; in entrambi i casi infatti è sottesa la presunzione che si possa mettere radici o toglierle a seconda dei casi e della voglia scordando che la radice contiene il significato di una parola perché ne raccoglie e conserva la storia, dando il senso e la direzione a qualsiasi progetto futuro e non limitandosi a fornire il pur prezioso sostentamento. Esiste quindi un culto della diversità a cui pare corretto opporre l’omologazione, vera insania secondo quanti inneggiano al primo. Ma cos’è propriamente omologare? E’ un’azione che mette d’accordo, che unisce, che rende più oggetti conformi ad una norma esistente. Ciò che esce dalla norma viene rigettato perché fuori norma, e-norme. La norma è una regola di comportamento, un giudizio, un criterio. L’insieme delle norme deriva per la comunità dalla tradizione, per il singolo da chi quella tradizione richiama ed impersonifica: la famiglia. L’educazione è la prima forma di omologazione, è ciò che ci permette di essere inseriti e riconosciuti in una comunità dove vigono norme comuni e dove si parla la medesima lingua che quelle norme codifica: dire una cosa enorme è dire una cosa assurda (ab-surdus, che suona male, fastidioso all’orecchio). Proprio quell’esigenza di territorialità e di tradizione che si fa scudo col vessillo della diversità e che contrasta ad ogni piè sospinto l’omologazione, ha perso di vista cosa accomuna e cosa sostanzia la comunità e per il gusto del contrasto e della negazione rischia di condurre una lotta i cui avversari sono i propri fantasmi.
Il nostro progetto vuole invece recuperare una nozione di Luogo che si distacchi dalla semplice declinazione spaziale che il termine possiede per arricchirsi di quello spettro semantico che lo rende prossimo alla definizione di identità culturale; un’identità che faccia capo alla tradizione di valori, costumi e più in generale di modalità di rapportarsi al proprio territorio di cui sopra si diceva, e che al contempo non si neghi alle istanze, spesso anche problematiche, che la modernità porta con sé.
Posta in questi termini la questione di partenza diventa allora la seguente: è possibile ripensare la Memoria come premessa dotata e portatrice di Senso, e dunque come fondamento di una visione autenticamente originale della Realtà?
Secondo noi sì e la risposta che ci piace suggerire è questa: conoscere come muoverci e cosa dire non è altro che ricordarlo.
Ci è dunque sembrato opportuno tentare di definire un percorso di ricerca (il cui esito ci augureremmo innescasse nuovi approcci alla questione) che in qualche modo potesse fungere da stimolo ad una lettura se non inedita, almeno non riduttiva di quella identità succitata. Identità che in nessun caso può essere intesa come concetto statico, monolitico, ab-solutus, ma piuttosto altamente dinamico, aperto a rimettersi in discussione, atto insomma ad accogliere le sfide che la nostra epoca, volenti o nolenti, ci impone, ora più che mai stante la profondissima crisi che investe così la totalità dei luoghi come ogni singolo luogo.
Da qui, anche in virtù del nostro essere redazione di un periodico, l’esigenza di coinvolgere chi, di professione, si muove nell’ambito della comunicazione e più specificatamente nel campo della scrittura (sia essa poi trasmessa oralmente o per iscritto in articoli, libri, ecc.). Scrittura che recupera la funzione precipua di traccia del passaggio umano e conservazione rammemorante delle tappe che questo passaggio scandiscono.
Le personalità coinvolte infatti appartengono, a diverso titolo, al mondo del giornalismo, dell’editoria, della musica e del teatro. Trait d’union risulta dunque essere la PAROLA, intesa nella sua duplice valenza di traccia/testimonianza di un humus originario (del quale il dialetto non è che uno degli aspetti più immediatamente evidenti) e di oggetto semantico privilegiato attraverso il quale mettersi in relazione con l’Altro, innanzitutto e, in seconda battuta, con il Mondo.
“Treviso allo Specchio” vuole dunque essere un’occasione di DIALOGO che la città fa con se stessa, con la propria comunità e con il mondo che ci circonda.
A fondamento delle nostre intenzioni sta un nucleo di riflessioni che si possono brevemente accennare.
Il territorio trevigiano si identifica spesso con quello accumulativo più che accomunante del Nord-Est. Con simile accostamento si rischia, come spesso, di perdere le significative diversità, che sono poi le variabili portatrici di senso. Se è pur vero che del Nord-Est miracoloso, anche la Marca raccoglie e promuove la vivacità economico-produttiva, l’impegno, l’inventiva, la tradizione, è altrettanto vero che diversi sono i retroscena che tale mise può celare. Convinzione del nostro gruppo di lavoro è che il territorio abbia perduto proprio quella matrice identificativa e sostanziale che lo contraddistingueva tanto che un concetto veniva espresso ed accostato al toponimo: “Marca gioiosa”. A nostro avviso Treviso ha dimenticato questa identità ludica e perciò stesso aperta ed accogliente, amorosa e conviviale. Da questa perdita nascono tutte quelle de-generazioni che fanno sembrare i trevigiani come ostili, chiusi, finanche razzisti. È essenziale recuperare questa dimensione, e con essa un insieme di valori e usi condivisi che nulla hanno a che vedere con le false ed osannate pretese identitarie rispecchiate da acque purificatrici ed origini mitiche. Di luogo vogliamo tornare a parlare per evitare che si cada e si ceda alle lusinghe del localismo, quali la protezione, la sicurezza, l’identità, la tradizione. Valori questi che sono tali perché privati e propri, non perché decisi ed esposti. Valori vissuti non parole ascoltate. Un sentire che fa davvero la differenza.
Ci attendiamo, grazie al coinvolgimento di un vasto spettro di risorse, comprese quelle spesso sottovalutate che possono fornire i giovani, di dare una lettura innanzitutto viva e certo rispondente alla realtà, del rapporto tra cittadinanza e le forme di comunicazione interna, consapevoli che queste ultime siano in linea teorica (e quindi debbano tornare ad essere anche a livello pratico con più vigore) specchio delle esigenze, delle emozioni, delle possibilità e dei valori sentiti e condivisi dai componenti della prima.
In tutto questo, grande ruolo ha la partecipazione di personalità locali, che riescono a coniugare la specificità della Marca, con la forza e la presenza di chi agisce e si fa attore della propria esistenza, attraverso la quale esprime quella di tutti. Il modo più vero di essere autore.
Gli incontri con l'autoreIncontro con l'autore. Per approfondire clicca qui
La tavola rotonda
| Le immaginiNella foto sopra, Mirko Artuso e Ricky Bizzarro durante il loro spettacolo.
Sotto, i relatori presenti al convegno inaugurale. Da sinistra: Ulderico Bernardi, Amerigo Manesso, Eduardo Zarelli, Cesare De Michelis, Daniele Ungaro. Nella foto sottostante, l'editore Ferruccio Mazzariol, della casa editrice Santi Quaranta, ospite della kermesse.
Altre immagini della manifestazione
|