Giuseppe Culicchia, BLA BLA BLAC'è una considerazione preliminare da fare circa questo romanzo di Culicchia, il terzo in ordine di pubblicazione. Non esiste storia, non abbiamo di fronte una narrazione, ma una rendicontazione di quelli che sono i pensieri di un protagonista anonimo ed arrabbiato, suddivisi in 5 capitoli di 30 paragrafi ciascuno. La lettura non perde alcunché se si decide di saltare da un capitolo all'altro, da un pensiero all'altro. Nemmeno, tuttavia, ci guadagna. E' questa la cifra dell'opera. La rabbia di cui è portatrice, lavora anche nella lettura, distruggendo il piacere della lettura. Come una cronaca, con in più il desiderio di sfogare il peso di un mondo che pare lavorare contro le sue nuove generazioni, che trovano in questo anonimo ragazzo un degno rappresentante.
| Enrico Donaggio, Che male c'è. Indifferenza e atrocità tra Auschwitz e i nostri giorniE' un saggio, quello di Enrico Donaggio, che si interroga sul tema del male a partire da considerazioni che in epoca [post(post)]moderna sembrano correre su una via preferenziale in termini di appeal: quelle riguardanti l'immagine. Pare ci sia una smisurata facilità di immortalare l'atrocità e, quindi, la morte, cui segue come corollario lo svilupparsi di un'abitudine allo sguardo che guarda la sofferenza, quasi che le categorie di bene e male siano in qualche modo sottomesse alla diffusione della loro rappresentazione. Un ruolo, in questo, sembra essere giocato da posizioni estetiche che rendono la testimonianza fotografica di un massacro, di una tortura, di un funerale, opera d'arte, ma con modalità che confondono il piano del reale con quello del simbolico, svincolando l'osservatore da una presa di posizione su quello a cui le immagini, artistiche, rimandano. La foto è documentario, ma il documentario non testimonia più perchè la voce che dovrebbe avere è muta rispetto al valore spettacolare di ciò che mostra.
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Maj Sjòwall - Per Wahlòò, Omicidio al Savoy
I pregi di questo romanzo stanno nella sua natura eterogenea. E' difficile in effetti considerarlo un romanzo di genere tout court, anzi, gli elementi del poliziesco puro sono bilanciati se non messi in secondo piano da quelle che sono - o vorrebbero essere - aperture all'analisi della società contemporanea. I due autori, la cui biografia racconta che, oltre ad essere coniugi, erano socialisti molto critici verso lo stile di vita della società capitalista, dedicano molto spazio di questa loro opera alla descrizione di Stoccolma e di Malmo sia dal punto di vista strettamente urbanistico e paesaggistico, sia da quello più ampio dell'analisi degli effetti che l'economia capitalistica causa sui rapporti umani e sulla convivenza civile.Le due città si propongono dunque come esempi, rappresentando la capitale e la metropoli da un lato, e la cittadina dall'altro, della situazione più generale della Svezia e, data la natura europea e mondiale degli investimenti e delle attività economiche dell'azienda dell'uomo ucciso, del resto dell'Occidente. Il tutto letto attraverso una lente che è, come già detto, fortemente critica, e che si trasfigura nell'atmosfera generale del racconto, dove gli autori insistono più volte nel sottolineare l'insofferenza dei protagonisti rispetto al clima torrido delle città. L'afa, il caldo, il sudore come costrizioni fisiche, ma come metafora di una intera visione del mondo - quella del capitalismo rampante - incapace di soppesare e valutare le esigenze degli uomini se non attraverso l'asettica e "fredda" considerazione di investimento e guadagno. E' il caldo e l'esasperazione che conducono all'omicidio, nient'altro; l'indagine e la soluzione del caso ripropongono nei loro tempi quello che è il tempo dell'omicidio, così com'è stato pensato, preparato e perpretato. Una lunga fase preparatoria (non dei dettagli dell'atto, si badi, ma di incubazione del malessere) e un azione repentina, quasi casuale, ridicola nella conclusione e negli attimi seguenti. La banalità di questo male è ripresa nelle indagini, che procedono pastosamente e senza guizzi, fin quasi senza un filo logico percepibile e si risolvono grazie al caso di un ritrovamento fortuito e all'altrettanto fortuita decisione di consegnare il ritrovato ad un comando di polizia. Qui stanno anche i punti di debolezza del romoanzo che per troppo voler rendere la critica finisce per rendere statica la narrazione, scorbutica. E' un romanzo che pare avere nella componente nera, in quello che dovrebbe essere il genere e quindi il faro guida della struttura, niente più che un accidente, uno dei tanti fatti all'interno della gamma della narrabilità del romanzo. Non convincente.
Vale la pena leggere l'interessante intervista rilasciata dalla coautrice dei romanzi, Maj Sjöwall, e pubblicata su Il Giornale del 6 settembre 2008. Inoltre, potrete scaricare l'intero romanzo qui. | Otto Weininger, Sesso e carattereFrutto di una mente scostante e di una molteplice ed eterogenea quantità di interessi letterari e scientifici, Sesso e carattere esce nel 1903, ad opera di un giovanissimo autore austriaco, di ascendenza ebraica, che non sarebbe sopravvissuto che pochi mesi alla pubblicazione del suo saggio che tentava di porre in nuova e decisiva luce le relazioni sessuali tra gli esseri umani. Fu forse il suicidio [leggi tutto ...] del giovane filosofo a rendere l’opera più interessante e famosa (dall’anno di uscita al 1947 si contarono ben trenta edizioni) di quanto i concetti espressi e la profondità di analisi avvrebbero in altre condizioni garantito. È indubbio tuttavia che Sesso e carattere può e deve interessare il lettore odierno se non altro come espressione e testimonianza di una krisis sia personale sia più generale e propria di un mondo specifico; una crisi dunque mitteleuropea leggibile a più livelli: quella del giovane Weininger, la cui vastità di studi ed interessi non riusciva a contenere od alleviare una profonda debolezza; una più grande e propria di un intero popolo – quello ebraico – in riferimento alla quale Theodor Lessing coniò la definizione di “odio di sé ebraico” (pur se il discorso di Lessing si riferiva ad un contesto diverso, com’era quello della Germania anni Trenta); e quella di un mondo entro il quale tanto gli Ebrei come popolo specifico, quanto altri Europei si calavano: la Vienna fin-de-siècle, in cui i giovani si formarono e costruirono il proprio pessimismo ascoltando soprattutto Wagner e Beethoven, studiando soprattutto Schopenhauer e Kant, leggendo ed aprendosi a Nietzsche. Se si affronta il testo del giovane, ebreo, viennese Weininger coniugando i temi sopra accennati, forse si può mettere in secondo piano le componenti sessiste (all’uomo corrisponde la moralità, alla donna il peccato), omofobe, antisemite (Weininger rinnega l’ebraismo e si battezza professandosi protestante) che indubbiamente traspaiono e si può cercare di inserire, proficuamente, nell’ambiente in cui sono nate le idee presenti nel libro, idee che interessarono anche un grandissimo del secolo scorso, Emil Cioran, attratto dalle vertiginose esagerazioni, dalla smisuratezza della negazione, dal rifiuto di ogni common sense, dalla feroce intransigenza, dalla ricerca permanente dell’assoluto, dalla mania di produrre un pensiero sino al punto in cui esso si sciolga da sé e distrugga l’edificio intero di cu esso stesso è parte. A partire da simili suggestioni possiamo accostare ancora oggi, di Weininger, la metafisica fondata sulla legge dell’attrazione sessuale e sui tipi ideali di Uomo e Donna, la teoria linguistica, il simbolismo con cui veniva interpretato il mondo, nonché il radicale astoricismo dei valori, senza incorrere nel pericolo di una acritica esaltazione o, viceversa, di una troppo frettolosa archiviazione. |